C’era una casa appena fuori dal paese dove abitavano due donne, di giorno erano ombre dietro le tende di lino ricamate ed uscivano fuori solo quando per strada non c’era più nessuno. Non uscivano mai insieme, erano Luna e sua figlia Aurora. Di sera, la strada che si allontanava nella campagna era una lunga ombra che nascondeva ogni movimento, mentre giù nella piazza del paese c’era la luce azzurra dell’insegna del bar che illuminava il suolo e ogni passo che gli si avvicinava. Luna non scendeva in paese da diversi anni, si muoveva male, aveva due gambe da merlo e un corpo imponente, la pelle era liscia e così tesa che sembrava sul punto di strapparsi, come un cuscino troppo pieno di piume. Voleva nascondersi, non voleva farsi vedere in giro così. Voleva che la gente la ricordasse bella com’era quando recitava nei grandi teatri e i camerini si riempivano di rose in ogni stagione, quando al cinema gli schermi si illuminavano dei suoi sorrisi e anche il sole la cercava, ovunque fosse, per carezzarle i capelli. Luna aveva cominciato a nascondersi già da un po’ di tempo prima che Aurora nascesse. Quando tutti avevano smesso di cercarla si era ritirata dietro un sipario privato per non essere trovata, come se questa fosse la sua volontà. Aurora era solo figlia sua. Era nata quando aveva deciso di venire al mondo, alla fine di un tempo di cui nessuno aveva tenuto il conto. Luna non si era mai presa cura di lei, se non per come le sistemava i capelli con stile teatrale, ne aveva fatto una bambina diversa da tutti, vestita con vecchi costumi tagliati all’altezza delle caviglie. Aveva smesso presto di mandarla a scuola per non sentirla piangere ogni mattina e le aveva insegnato la vita che si canta nelle canzoni come se fosse l’unica cosa da sapere. Quando si erano trasferite nella casa che ancora abitavano insieme, al piano di sotto viveva un vecchio che non aveva famiglia. Il vecchio si era affezionato alla bambina, le voleva molto bene, e la portava ogni giorno con sé nella campagna. Aurora infine aveva dimenticato che ci fosse anche un’altra strada che portava in città, come se la città fosse scomparsa per sua volontà. Quando il vecchio era morto, Luna si era occupata del funerale, c’erano solo lei e la figlia in chiesa durante la funzione o forse qualcun altro aveva aperto la porta per pochi secondi e subito se ne era andato, lasciando che uno spiraglio di luce entrasse al proprio posto. Solo dopo la morte del vecchio, la madre Luna aveva cominciato ad occuparsi della figlia e le aveva vietato di uscire da casa finché c’era giorno in cielo. Aurora così aveva cominciato ad andar fuori ogni notte, di certo non per obbedire alla madre, cosa a cui non era abituata, ma più per assecondare quelle paure che erano anche le sue. Per quanto conosceva la gente che viveva in paese, sapeva che usavano parole che non voleva sentire alle sue spalle. Quando aveva raccontato al vecchio cosa le era successo nei giorni in cui ancora andava a scuola, lui le aveva insegnato la lingua del vento che porta lontano le parole degli uomini. Nella natura la voce umana si perde, perché solo il canto degli uccelli ha mille voci. Ora, Aurora aveva imparato le canzoni dei gufi e delle civette e le cantava in un modo tale da sembrare che per lei quelle avessero più senso di tutto quel mondo di cui gli raccontava sua madre. Anche per questo, la madre Luna aveva cominciato a sentire sua figlia sempre più lontana, più di quanto lo fosse mai stata, come un sassolino lanciato verso il cielo che non ricade a terra. Così, una notte decise di seguirla e uscì poco dopo di lei, perché non voleva perderla e sapeva di avere un passo lento che non le avrebbe permesso di seguirla troppo da vicino. Infatti, già a pochi metri da casa, davanti alla fontana che segnava l’inizio della proprietà, erano già molto distanti. Dopo un po’ che camminavano, la vide dirigersi verso il fiume e danzare sui sassi bianchi che spuntavano dalle acque, stringere i rami più bassi del salice come fossero le mani di un vecchio amico e sussurrare con la voce del vento i suoi giovani sogni. Si accorse per la prima volta di non sapere chi fosse quella creatura che solo da lei era venuta al mondo, che aveva voluto come specchio di se stessa e in cui non si era mai specchiata. Solo quando erano di ritorno verso casa, la vide stendersi sui gradini della fontana per passarci la notte, le si avvicinò e la prese tra le braccia, come se fosse la prima volta che se la stringeva al petto.
In paese, pochi giorni dopo, iniziò a girare la voce che di notte nella campagna apparissero due fate e il giovane figlio del Sole, il padrone del bar nella piazza, quella sera stessa si avviò a piedi verso la strada che attraversava i campi per cercare tra le ombre la loro magia.

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