Il portiere ha chiuso la notte fuori dal palazzo. La grande lampada che ha acceso nell’atrio è un sole che stenta nella polvere. A luci spente apro la finestra per far entrare il buio, come fosse un sovversivo che ha i suoi sogni da raccontarmi. Piove forte, sembra che le gocce vogliano uccidersi sull’asfalto. Un ragazzo e una ragazza si rincorrono per strada come bambini sguaiati, le pieghe degli abiti sono lucide corde d’acciaio che gli si stringono addosso. Li sento arrivare sotto la mia finestra, il loro respiro mi entra nella stanza, il mio portone è chiuso e trovano riparo in quello del palazzo di fronte, che è ancora aperto. Le grida diventano sussurri, ma la strada non ritrova silenzio. Piove ancora forte e le nubi sono cariche, sta piovendo la notte, come se le stelle che non si vedono fossero i bottoni che la tenevano agganciata al cielo. Ci sono auto che strisciano sull’acqua, il rumore dei motori si allontana nella pioggia come un fuoco d’artificio che si spegne. Tra qualche ora per strada non ci sarà più nessuno, in una notte come questa anche i gatti non muoveranno un passo.
Ci sono portieri come quello del mio palazzo che temono la notte, accendono le luci e serrano il portone appena arriva il buio. Ce ne sono altri invece che della notte sono custodi e la lasciano entrare perché in città il buio ha bisogno di riparo. Le luci arancio dei lampioni deformano l’oscurità, i vecchi lampioni a luce bianca ne avevano più rispetto, erano umili complici della luna. Nel palazzo qua davanti sembra che la vita possa avere un ritmo più naturale, le luci delle scale restano sempre spente. I ragazzi che vi avevano trovato riparo sono appena usciti. Il portiere li ha seguiti fin sul marciapiede e resta sulla soglia mentre si allontanano, come se stesse aspettando qualcuno che ancora deve rientrare.
Guardo le finestre sulla facciata, le luci nelle stanze sono ancora tutte accese tranne una al primo piano, davanti alla mia. Il temporale si è calmato, le nubi hanno lunghi lembi di stracci neri e fuggono dal vento che si è alzato, come dame che non vogliono corteggiatori. Ti ho visto, sei  nascosto nel buio e come me hai la finestra aperta, sei un passo indietro dal davanzale. Mi sarei accorto prima di te se tu non fossi così piccolo. Mi hai visto anche tu ed alzi la mano in un cenno di saluto. Ti rispondo agitando in alto entrambe le braccia, come un naufrago che ha scorto una nave all’orizzonte. Anch’io, da piccolo, non riuscivo subito a dormire quando mi mettevano a letto. Il buio è sempre stato un clandestino che aveva qualcosa da raccontarmi. Ora ci guardiamo in silenzio, come se fossimo l’uno il riflesso dell’altro, nello specchio del tempo. La notte ha steso il suo ponte per farci incontrare, in questo silenzio dove anche la pioggia e i rumori del cielo sono ammutoliti tu ed io siamo amici senza chiamarci per nome.
Uno boato tuona all’improvviso come il ruggito di una belva che prende forma dalla notte e si colora di fuoco. Tutta la strada schianta come se avesse una voce di metallo. La tua finestra non c’è più, non c’è più la parete della tua stanza. Tu sei seduto sopra un’isola sospesa, una lingua di pavimento che non è crollata, sotto ai tuoi piedi si allungano le lingue di un inferno. Il portiere ti vede e arriva sotto di te, calpestando le fiamme. Tu mi guardi e mi saluti ancora una volta, prima di lanciarti. Quando arrivano i pompieri tu sei abbracciato alle sue spalle. Le luci spente lungo le scale hanno lasciato intatta la via di fuga per gli altri abitanti del palazzo. Quando tua madre esce per strada, il portiere ti consegna tra le sue braccia come se tu fossi un dono della notte.

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