Non sapete cosa vi perdete, voi che la notte dormite. Io non ho mai dormito più di poche ore. L’insonnia è la mia seconda esistenza, è tutta un’altra storia. Da ragazzo consideravo restare sveglio un atto di silenziosa insubordinazione. Ora ho preso un cane nero come un temporale, esce con me quando mi passa il sonno. Non vi dico che la città è nostra, che ve la rubiamo mentre siete in fase REM, perché è tutta un’altra storia, non è una questione di possesso. Di giorno, se guardate la città, chiedetevi quante cose sembrano più grandi di quel che sono, quante, di quelle che sembrano importanti, stendono l’ombra del loro trono e regnano come invasori a cui un popolo ottuso ha costruito la corona, sacrificando spazi di libertà. Il buio fa giustizia, le ombre si fondono in un’unica notte. Quando i palazzi dormono, con gli occhi chiusi dai loro chiavistelli, per me e il mio cane contano solo i nostri passi senza meta, gli odori e i pensieri. Quante verità si trovano in una città che dorme, non farò uscire le mie adesso dalle tasche dei pantaloni, sono piccole come briciole e grandi più di dieci piani, ma non è una questione di giudizio. Se voi non dormiste tanto avreste le vostre da trovare. Di notte le verità non cadono mai dal cielo, succede solo di giorno. Di notte, semmai, cadono le stelle, anche in città. Invece di dormire guardate nel parco, sotto l’albero più grande, dove la chioma lascia sbirciare un ritaglio d’universo. Proprio in quel mosaico d’ombre e di prato io e il mio cane affidiamo sempre un desiderio a una stella che cade, sempre uno diverso, ne abbiamo tanti e con le stelle bisogna fare così. Le stelle cadenti non sono le palline che sputa fuori una lotteria, nessuna stella tiene chiuso un genio nella propria lampada. Sono nostre sorelle, nostra madre è quell’universo che abbraccia tra le ali tutti i suoi figli. Vestiamo le stesse piume di ogni cosa che sta nel nostro mondo o molto lontano dal suolo che calpestiamo, le stesse anche di tutte quelle cose a cui non abbiamo ancora dato un nome, o che mai l’avranno perché ci resteranno sconosciute. Anche i desideri sono piccole cose, più grandi di me e del mio cane mentre sbirciamo il cielo tra i rami, ma piccoli rispetto al mistero verso cui li lanciamo. Il mio cane alza sempre il muso quando arriviamo sotto il grande albero, sono stato la sua stella quando l’ho portato via dal canile. Leggo ancora i suoi desideri quando corre nel prato deserto, appena prima dell’alba, ed è felice. Nessuno di noi è felice come lui. Credo che il suo desiderio più grande, quando guarda le stelle, sia un grande parco dove nel centro c’è una piccola città, magari fatta di una sola casa, la nostra, che dividiamo come un vagone che ci ospita nello stesso viaggio. I miei desideri, forse, sono piccoli come briciole rispetto ai suoi, ma non è una questione di dimensioni. I miei sono i desideri di un uomo dall’esistenza precaria. Non credo più a niente. La fiducia che affido alle stelle è una favola scritta per essere chiusa in una bottiglia da buttare in mare aperto. Ho trent’anni e vorrei vivere la mia vita, il mio futuro, la mia autonomia. Cosa non darei per averne la certezza, forse tutto quello che mi resta, tranne il cane. Ma non è una questione di possesso, vederlo felice è già una favola che tocca terra.

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