Lo chiamavamo Zitto. Me lo sono ricordato oggi, quando ho saputo che il bar era stato chiuso da poco più di un mese. Negli anni erano cambiate le facce ma non più di tanto. Zitto era rimasto lo stesso, insieme al bar. L’ultima volta che l’avevo visto era fuori, sulla porta, le gambe larghe e le braccia stese, con indosso la stessa divisa. La stessa di sempre, una quattrostagioni con la variante del giubbotto che teneva rigorosamente aperto, anche con la neve. Roy Rogers, camicia e calzini bianchi, mocassini neri. Una volta, per scherzo, gli abbiamo regalato dei calzini rossi per il suo compleanno. Si è messo a sudare, rosso in faccia più dei calzini. Si è messo a urlare. Il Fifty gli ha detto «Ehi Zitto, che vuoi cambiare nome? », ma lui non ha smesso, finché io non gli ho tolto i calzini dalle mani. Sulla destra dell’entrata del bar, prima del flipper, c’era il cartellone dei film. Zitto lo sapeva a memoria. Il suo unico momento di gloria era la domenica pomeriggio, in inverno, quando dovevamo decidere in quale cinema andare. Titoli dei film e nomi delle sale. Attori principali. Orario degli spettacoli. Seduti sui motorini lì fuori, senza neppure mettere piede nel bar, dovevamo solo trovarci d’accordo. La nostra era una grande compagnia, c’era chi arrivava e chi se ne andava ad ogni ora del giorno, ma Zitto era sempre lì e basta. Zitto neppure ci seguiva al cinema, quando partivamo in due per motorino. Quando tornavamo Zitto era ancora lì e potevi star certo che non aveva parlato più con nessuno per tutto il tempo che era durato il film.
Dopo il pranzo da mia madre allungo la passeggiata. Non capitavo qua da almeno tre anni. Trovo una coppia che sta insieme da sempre, eravamo compagni di scuola. Affretto presto il passo. La loro eternità mi stranisce. Io non ho proprio mai pensato di sposarmi. Non ho mai pensato neppure di restare qua per sempre.
Ora sono sulla strada che arriva davanti al bar, vedi tu che caso. Un po’ ci speravo di trovarlo, di inquadrarlo già da lontano. Zitto è lì davanti. Ha ancora addosso i Roy Rogers e tutto il resto. Ecco gli anni che non sono passati. La Roy Rogers fa ancora i jeans. Il bar è chiuso. Forse è passato del tempo, qualcosa non è più come prima. Zitto mi guarda. Gli dico «Mi piacciono i calzini bianchi». Per lui oggi, fuori dalla compagnia, sono uno sconosciuto e non voglio fargli paura. Ci salutava tutti, tutti insieme, con la mano, quando partivamo in motorino. Conosceva solo qualcuno dei nostri nomi e non il mio. Però sapeva tutti i titoli dei film che erano nelle sale cinematografiche, gli attori e l’orario degli spettacoli. E che belli erano i film. Erano gli anni di 1997: Fuga da New York, Kurt Russell e Lee Van Cleef. Blade Runner, Harrison Ford e Rutger Hauer, Sean Young e Daryl Hannah. Chiedo a Zitto che film ci sono nelle sale, sperando di sentirne qualcuno che ho dimenticato. Mi dice «Lo chiamavano Jeeg Robot, Claudio Santamaria e Luca Marinelli, Fulgor, ore 15.30». Il bar è chiuso da poco più di un mese. E anche gli anni sono passati. Solo Zitto è lo stesso. È sempre lì, anche adesso che il bar è chiuso e il Fulgor è ancora aperto.